La Rocca Janula

La costruzione della Rocca Janula e delle mura difensive risale alla seconda metà del X secolo, per opera dell’abate Aligerno. Egli fu incaricato di ricostruire il Monastero, dopo la distruzione avvenuta nell’883 d.C., durante l’invasione araba. Lo stesso abate Bertario fu decapitato dagli invasori e molti monaci fuggirono a Capua. Seguirono una quarantina di anni di insicurezza e instabilità con conseguente spopolamento delle terre del monastero.

La vittoria, nell’agosto 915 d.C., della Lega Cristiana di Papa Giovanni X nella battaglia del Garigliano segnò la ripresa da parte della nobiltà locale del controllo della Terra. Ebbe inizio una fase storica senza precedenti; Aligerno attuò un’opera di ripopolamento, di bonifica, di messa a coltura, di fortificazione contemporaneamente ad un’organizzazione giurisdizionale. Questa epoca fu denominata del castrum. Infatti, l’insediamento concentrato e fortificato sulle alture diventa progressivamente l’elemento fondamentale di controllo e amministrazione del territorio e lo rimarrà per centinaia di anni.

Nascono i comuni di Sant’Elia, San Vittore, San Pietro, Sant’Ambrogio, Sant’Apollinare, San Giorgio. Aligerno viene considerato il terzo fondatore dopo S. Benedetto e Petronace. Fu un periodo di crescita demografica, con gli abitanti che riempivano i villaggi, concentrati e fortificati su alture, mentre le aree a destinazione agricola erano disposte concentricamente nello spazio circostante. La colonizzazione del territorio veniva attuata con la concessione di terre, per lo più, dietro contratti livellari. Il livello era un contratto agrario in uso nel medioevo, che consisteva nella concessione di una terra dietro il pagamento di un fitto. La durata di tali contratti era di 29 anni, rinnovabili. Il contratto prevedeva un pagamento consistente in una parte del raccolto delle colture (il tributo).

Nel 967 il principe di Benevento, Pandolfo Capodiferro, riconobbe ad Aligerno lo Ius Munitionis, ossia il diritto di fortificare liberamente le terre di San Benedetto. Il primo castello abitato fu quello di Sant’Angelo in Theodice. L’Abate fa costruire le mura difensive, il cui cardine è la Rocca Janula, il castrum di Sant’Angelo in Theodice e la torre di San Giorgio a Liri.
La prima volta che si trova indicato il nome della rocca Janula è in un documento del 7 giugno 967, il Privilegio dei principi Pandolfo e Landolfo di Capua, nel quale vengono anche elencati i castelli e le torri concessi all’abate di Montecassino e ai suoi successori fino ad allora costruiti e che da allora in poi fossero stati costruiti, e cioè: il castello de Jannula, il castello di Sant’Angelo in Theodice e la torre di San Giorgio. Si può dunque affermare che la rocca fu fondata nel periodo tra il 949 ed il 967, molto probabilmente subito dopo il 952. Ne sorsero successivamente molti altri: Sant’Elia, Roccasecca, Pignataro, Rocca di Mandra, Cocuruzzo.
La costruzione originaria comprendeva probabilmente una torre a pianta quadrata inclusa in un recinto ristretto e non coincidente con il circuito murario dell’abitato. Tale modello era molto diffuso sul territorio, come per la rocca di monte Trocchio e Roccaguglielma. Sul territorio le torri costituivano i primi elementi di incastellamento. Esse permettono la difesa a 360 gradi e sovrastano di molti metri le cinte murarie. Le cinte murarie erano realizzate per seguire la conformazione morfologica del terreno. Tali rocche separate dall’abitato hanno una forte connotazione militare e scarsa vocazione residenziale. La residenza è limitata ai turni di vigilanza e alle esigenze estemporanee in caso di attacchi improvvisi. In caso di emergenza la rocca poteva ospitare anche duemila persone.

Sembrerebbe che il nome Janula derivi dal nome dell’antica divinità bifronte Giano, dio degli ingressi e delle porte, venerata a Cassino in tempi antichi. Questo ha indotto vari studiosi ad ipotizzare che sulla sommità della collina sorgesse un tempio dedicato a questo dio, ma non ne è mai stata trovata traccia.
È dunque più plausibile che la parola Janula sia legata al suo significato latino di piccola porta; è giusto ipotizzare che in quel luogo vi fosse un ingresso al sistema difensivo della città romana, oppure che il nome indicasse si la piccola porta, ma del Monastero, la prima che si sarebbe dovuto abbattere per prenetarvi.

Dopo la costruzione ad opera di Aligerno e il consolidamento per mano di Mansone, che fortificò la cinta muraria, la rocca iniziò a subire danni a causa dei frequenti e violenti terremoti. Nel 1004 fu danneggiata da sismi che, per 15 giorni, interessarono tutta le Terre di San Benedetto. Il castello risulta in quegli anni desolato e abbandonato.

Nel 1111, l’allora abate Gerardo fu costretto ad affrontare i conti di Teano, i quali sconfinavano regolarmente nel territorio della Rocca di Comino, e Runegarda, vedova del duca di Gaeta Riccardo dell’Aquila, la quale si impossessò dei territori lungo la sponda meridionale sinistra del Garigliano, saccheggiandoli. Approfittando del momento di anarchia, gli abitanti di San Germano, intolleranti verso la politica abbaziale, si ribellarono e occuparono la Rocca Janula, fornendola di proprie armi di difesa. Gerardo riuscì a cacciarli via e decise di restaurare la rocca.
Ampliò la cinta muraria e nel centro fece edificare l’alta e fortissima torre che ha resistito alle ingiurie degli uomini e dei tempi sino a noi. Furono realizzate altre due torri minori, per abitazione dell’abate, ai lati della torre pentagonale centrale e fece erigere una piccola chiesa; rafforzò le mura tutte intorno alla Rocca.

Nel 1121, dopo la battaglia di Sutri, vi fu imprigionato, l’antipapa Gregorio VIII. Ci fu una nuova rivolta della popolazione nel 1126; gli abitanti di San Germano, approfittando della scomunica subita dall’Abate Oderisio, occuparono e distrussero la Janula.
Sembra, inoltre, che verso la fine del XII secolo nella Rocca risedettero anche i Templari.

Verso il 1200, l’abate Roffredo de Insula fece costruire delle mura che, formando un enorme triangolo difensivo, inglobarono la città sottostante nel sistema difensivo.

Federico II del Sacro Romano Impero, con l’editto di Capua, nel 1221, che prevedeva la distruzione di tutti i castelli costruiti dopo la morte di Guglielmo II, ne ordinò la distruzione, la quale per fortuna fu solo parziale. Successivamente lo stesso Federico, alleatosi con l’abate Landolfo e resosi conto dell’importanza strategica della rocca nella contrapposizione con papa Gregorio IX, la fece ricostruire. A questa ricostruzione si devono elementi architettonici di impronta sveva, come la costruzione ex novo della torre centrale.

Nel 1229, papa Gregorio IX pose sotto la sua tutela la Rocca, approfittando della spedizione militare contro il regno di Sicilia. Dopo la Pace di San Germano, avvenuta nel 1230, il Monastero e la Rocca furono restituiti all’Abate di Cassino, ma per il piccolo forte fu una riconsegna solo sulla carta. Infatti la sua gestione fu sempre affidata a uomini fedeli all’Imperatore. Federico ripristinò la sua autorità, ponendo la Janula nelle mani del Gran Maestro dei Teutonici, Ermanno di Salz. La rocca rimase, da quel momento, sotto la diretta amministrazione della Demanium Regis; anche con la successiva invasione angioina e aragonese le cose non mutarono.

Manfredi di Sicilia, nella guerra contro Carlo I d’Angiò, stipò duemila soldati saraceni e mille cavalli all’interno delle mura. Secondo le fonti, dentro le mura vi erano un totale di 10.000 tra cavalieri e fanti saraceni, più il corpo della Militia del Monastero. Sembra una cifra alquanto esagerata, giacché altri testi parlano di 6.000 uomini in totale, altra fonte invece afferma che nella Rocca ci fossero asserragliati 2000 Saraceni e 1000 cavalli.
Nel 1349, un violentissimo terremoto distrusse l’Abbazia e danneggiò seriamente la Rocca; il Monastero fu ricostruito intorno al 1357. Gli anni tra il 1378 e il 1400 furono piuttosto turbolenti per una serie di battaglie combattute tra la badia e i signorotti limitrofi, specialmente contro Fondi e Gaeta.

Tra il 1400 e il 1414 si assiste all’ascesa di Ladislao I Re di Napoli, della casata D’Angiò-Durazzo. La sua sete di conquista lo portò ad invadere Roma e tutti i territori del pontefice, spingendosi fino a Perugia. A contrastarlo intervenne Luigi d’Angiò, il quale sconfisse le truppe napoletane, obbligando nel 1411 Ladisalo a rifugiarsi a San Germano, dove aveva lasciato i suoi rinforzi. Intanto la badia perse nuovamente tutti i suoi privilegi, cadendo sotto il diretto controllo del re.

Dopo la morte di Ladislao, avvenuta nel 1414, l’abate Pyrro Tomacelli emanò un bando per il quale tutte le terre della signoria cassinese dovevano tornare sotto il controllo di Montecassino. La Regina Giovanna II, succeduta a Ladislao, accordò questo bando, ma non volle restituire al monastero la Rocca Janula. L’abate dovette sborsare 4000 ducati d’oro per riaverla indietro, ma, nonostante questo, la regina la affidò ad Antonio Carafa.
Forti furono le proteste dei monaci; Pirro fortificò un recinto di mura. Inoltre aggiunse due torri in direzione della città apponendo lo stemma della sua famiglia e questo motto: Pyrrus abbas fieri fecit A. D. MCCCCXVIII. I lavori di Pyrro si conclusero nel 1418, come attestato da una iscrizione pervenutaci.
Il Pontefice, determinato a sottrarre la fortificazione a Pyrro, inviò a Montecassino, nel 1423, il mercenario Francesco Blanco; costui giunse di notte al monastero. Grazie ad un traditore della badia, prete e segretario dell’abate, Antonio Spicola, che gli aprì le porte, entrò in Montecassino. I soldati fecero scempio di cose e di persone, ma Pyrro riuscì a fuggire nella Rocca Janula. Blanco issò bandiera pontificia. Accerchiò la Janula, ma l’abate di nuovo scappò; fu catturato a Sant’Angelo e condotto a Roma.
Il Papa fece abate il Vescovo di Aquino Jacopo. In tal modo tutte le terre del Monastero furono sotto il dominio papale. Tale invasione durò poco, in quanto, nello stesso anno, Pyrro fu lasciato libero di tornare sul monte.

Nel 1438, morto Pirro, i monaci non elessero un nuovo abate, ma governarono a comunità, appoggiando il partito papale. Alfonso d’Aragona, pretendente al trono del Regno, mosse allora contro le terre del monastero. Espugnò la Rocca e vi mise un capitano di nome Arnaldo. I sangermanesi si ribellarono e lo catturarono, aiutati da un capitano di ventura di nome Riccio. La rocca però era ancora presidiata dal fratello di Arnaldo, Martino, il quale non si arrese. La guerra infuriò sanguinosa. Si narra che un tale Palermo, incarcerato nella rocca perché aveva tradito la fede ad Alfonso, volendo tornare nelle grazie del principe, volle combattere per gli aragonesi e smisurato di membra come egli era, scagliò tale una furiosa tempesta di sassi, che rincorando i difensori, respinse la gente del riccio sgominandola, e facendolo fuggire. Alfonso si precipitò a San Germano, sconfisse il Riccio, che si rifugiò nel Monastero.
Tra il 1454 e il 1504 si susseguirono abati commendatari. Nel 1456 altre scosse minarono la stabilità della Rocca. Tra il 1458 e il 1461 la Janula fu restaurata, ma fu teatro di continue lotte tra aragonesi e angioini.
Nel 1522, il 5 Dicembre, nuovamente, per breve tempo, la popolazione di San Germano mantenne con la forza la Rocca Janula.

Da quel momento, per circa due secoli, la Janula e la Badia di Montecassino non furono coinvolte in fatti specifici d’armi, o almeno non furono tali da dover essere annotati dai cronisti. Intorno alla metà del XVII secolo il forte sembra abbandonato e in rovina.
La Rocca non compare più nei censimenti nel patrimonio dell’abbazia sin dal 1742, incamerata nel demanio dello Stato, sotto Carlo III di Borbone.
Nel 1796 Ferdinando I riunì le sue truppe nella Rocca e nei castelli delle terre di San Benedetto per far fronte all’avanzata dell’esercito napoleonico. Ma all’arrivo dei francesi non ci fu guerra, perché i Borboni lasciarono campo libero. Il generale Championnet si insediò nel palazzo badiale di San Germano. I cittadini di San Germano e di tutte le terre del monastero si eressero a Repubblica.

Nel 1806, dopo aver conquistato il Regno di Napoli, Giuseppe Napoleone, con decreto Napoleonico, riformò lo stato, abolendo i feudi, chiudendo conventi e badie. Il monastero di Montecassino cambiò nome in Stabilimento e l’abate divenne il Direttore. La Rocca Janula perde qualsiasi ufficio. Il 15 Luglio 1815, con il Trattato di Casalanza, i monaci poterono riacquisire il loro abito religioso. Alla Badia però non furono restituite le terre, ma 14.000 ducati di rendita annui.
Nel 1860, dopo l’unificazione d’Italia. Il monastero viene dichiarato Monumento Nazionale e la Rocca Janula e le altre terre passano al demanio pubblico. Il forte è di competenza del Ministero delle Finanze. Nel 1870, per chiudere la storia militare della rocca e consacrarla ad un ideale di pace, venne posta una lapide sulla torre di Pyrro.
Purtroppo la Rocca, nonostante la sua gloriosa storia, fu lasciata al degrado. Solo agli inizi del novecento, il Ministero della Pubblica Istruzione si interessò a far redigere un progetto di consolidamento. Il secondo conflitto mondiale non ha fatto altro che peggiorare la situazione già delicata di questo monumento, in quanto fu inserita nel sistema difensivo tedesco della Linea Gustav.

Negli ultimi anni, finalmente, si ridà la giusta importanza a questa millenaria costruzione, con finanziamenti statali e per volontà della soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici del Lazio.

3 pensieri su “La Rocca Janula

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *