Il nome del primo mese dell’anno è Gennaio; deriva dal latino Januarius. I Romani o, meglio, i Latini avevano dato questo nome a questo mese in onore di Janus (Giano) che è il più antico degli dei maggiori italici.
Era stato il mitico re Numa Pompilio, con la sua prima riforma del calendario, a stabilire questo, perché il mese di Gennaio (il mese di Giano) era il primo dopo il solstizio d’inverno e quindi quello che iniziava il ciclo (fausto) di ascesa del sole.
Giano è un dio molto particolare che molto si differenzia dagli altri dei della mitologia greca, che solo dopo è stata quasi completamente recuperata in ambiente romano.
Intanto non è una divinità greca, ma è una divinità “autoctona” o quanto meno già presente sul territorio, come si direbbe oggi, prima dell’importazione della cultura e della religione collegate alla filosofia greca classica.
Anche le sue caratteristiche fisiche e psicologiche lo differenziano dagli dei dell’Olimpo Greco. Giano è un dio molto serio ed affidabile; non è lunatico e dispettoso come molti degli dei greci; di Giano ci si può fidare. Alcune fonti antiche ci dicono che veniva identificato col Sole splendente nel cielo e quindi era personificazione del tempo; altre dicono anche che avrebbe regnato sul Lazio e avrebbe dato inizio alla civiltà istituendo riti religiosi e costruendo i primi edifici sacri e divenendo così il dio protettore dei “Collegia Opificum et Fabrorum” ovvero a dire degli addetti alle costruzioni.
Ma quello che più incuriosisce di Giano e la sua iconografia di rappresentazione: Giano viene rappresentato, ma soprattutto viene definito dalle fonti letterarie come “Janus bifrons”: Giano bifronte; infatti, nelle poche sculture rimaste e nelle poche monete in cui è rappresentato appare sempre con due facce che si contrappongono unite per la nuca.
Ma come abbiamo detto Giano è un dio serio e quindi questa sua doppia rappresentazione non significa affatto ambivalenza, menzogna, truffa o inganno, ma ha sicuramente un significato collegato con le sue più antiche connotazioni legate al tempo e quindi le sue due facce guardano una al passato e una al futuro.
Secondo il mito questo dono di conoscere il passato e il futuro era stato concesso a Giano da Saturno, quando, perseguitato da Giove, era stato da lui regalmente ospitato nel Lazio.
Non per niente a Giano è dedicato il mese di Gennaio che è quello della fine del ciclo calante (nefasto) del sole e soprattutto l’inizio del ciclo ascendente (fasto) dell’astro del giorno.
Giano per questo è quindi il custode di tutti i transiti, di tutti i passaggi, di tutti gli inizi, di tutte le porte (porta si dice “ianua” in latino).
La radice del nome Giano indica in moltissime lingue indo europee, ma anche celtiche, il concetto di passaggio, di transito.
In quanto dio del Sole e Sole lui stesso, Giano ha potere sulle porte del cielo ed è lui che apre e chiude le porte dei solstizi, è lui che apre al sole l’alba e chiude il tramonto.
In alcune rappresentazioni Giano ha un volto giovane, imberbe, femmineo e l’altro anziano, barbuto e virile, perché questa iconografia si rifaceva all’antico mito del sole e della luna.
In tutto questo si può ritrovare la concezione platonica dell’anima umana, per la quale esistono due aspetti: quello tendente al divino, splendente di bellezza e quello corrotto e terreno, destinato ad invecchiare, perché rivolto alle caduche cose del mondo.
A Giano comunque nell’antichità era rivolta sempre la prima preghiera prima di intraprendere qualsiasi impresa, prima di attraversare qualsiasi barriera, prima di iniziare qualsiasi nuova attività. A niente si dava inizio senza rivolgersi a lui.
Ma Giano proprio per la sua rappresentazione con due facce contrapposte unite per la nuca è la rappresentazione più efficace e più sintetica dell’essenza del tempo e dello spazio, ovvero delle due dimensioni che limitano e condizionano da sempre l’umanità tutta.
Cartesio quando affermò “penso e quindi sono” forse doveva aggiungere “qui, adesso”, perché i due limiti spazio temporali anche per lui erano presenti e lo condizionavano.
Ritornando a Giano e alla sua iconografia antica, che sicuramente era il simbolo di una concezione, se non filosofica sicuramente antropologica molto profonda e radicata, bisogna dire che guardava in una direzione e nella direzione opposta e che guardava e conosceva quindi tutto il tempo, tutto il futuro e tutto il passato; e il suo sguardo spaziava sia a nord che a sud e quindi conosceva anche tutto lo spazio.
Questo dio antico, italico, che spesso viene definito “Janus pater”, proprio a significare che è colui che a creato il mondo è in qualche modo vicino alla concezione di un dio assoluto, perché a differenza degli uomini non limitato dalle due dimensioni dello spazio e del tempo, è un dio che è in ogni tempo ed è un dio che è in ogni luogo ed è proprio per questo che nella concezione degli antichi è “dio”.
Inoltre la rappresentazione delle due facce di Giano ne presuppone inevitabilmente una terza, quella rappresentazione “irrappresentabile”, perché non percepibile dalla mente dell’uomo, ovvero la rappresentazione del presente. Proprio il presente, che è la dimensione in cui l’uomo crede di vivere è di fatto sfuggente, inafferrabile, indefinibile. Il presente, appena si osserva, è già passato e quando si teme o si desidera è ancora futuro. Il presente è quindi non rappresentabile né nel tempo, né nello spazio, però esiste. Per questo nel passaggio da un volto all’altro di Giano c’è un terzo volto, forse astratto, forse non materico, che comunque ci viene suggerito, che sentiamo dentro di noi.
E a questo punto non si può fare a meno di ricordarsi di una delle più alte rappresentazioni del divino che mai siano state concepite e che sicuramente ha sentito e sofferto questa stessa difficoltà rappresentativa.
Mi riferisco alla grande opera della “Trinità” affrescata da Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze; è opera gigantesca per forza ed espressività, dovuta al contrapporsi delle due figure di Dio Padre da una parte e di Cristo Figlio di Dio dall’altra e quindi della divinità e dell’umanità; anche per Masaccio la terza faccia è di difficile rappresentazione; sicuramente esiste, perché è dogma di fede l’elemento di collegamento tra Dio e l’uomo, si sa, è dentro la nostra cultura, è nell’anima del credente, ma non si riesce a dargli una forma nello spazio e nel tempo. L’opera di Masaccio sarebbe stata quindi ugualmente terminata, ugualmente conclusa, anche se non avesse dipinto un po’ forzatamente quella colomba bianca che sta a mezza’aria, in modo poco naturale, tra il Padre e il Figlio e che vuole rappresentare concretamente il simbolo dello Spirito Santo.
Gli antichi si erano resi conto che la terza faccia non era rappresentabile se non attraverso la violenta contrapposizione delle prime due e che era proprio l’inversione di stato che determinava la sensazione del “qui” e dell’“adesso” che sono purtroppo o per fortuna la connotazione del nostro vivere nel mondo.
Giano era il dio di ogni inizio e di ogni fine, era il dio di tutti i contrari e soprattutto era anche il dio della pace e della guerra. Quando Roma era in guerra si tenevano sempre aperte le porte del tempio di Giano perché il dio potesse venire in ogni momento in soccorso della città, ma quando si potevano chiudere si facevano grandi feste in onore del dio che doveva rimanere custode della pace.
Per tutto questo ci sembra che quella del mito di Giano possa essere la posizione culturale adatta per iniziare un nuovo anno..
Capodanno nel mito di Giano

2 pensieri su “Capodanno nel mito di Giano”
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